Il diritto di contare, la mia recensione
Dopo fin troppo tempo passato a rimandare la visione del film “Il diritto di contare” sono riuscito a vederlo in questa blanda piccola pausa estiva.
Il film in questione, per chi non lo sapesse, parla della lotta che alcune donne di colore hanno affrontato ad inizio degli anni ’60 per poter lavorare in modo efficiente e senza discriminazioni alla NASA. Le protagoniste sono tre donne in particolare: Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson sono tutte e tre dotate di enorme talento scientifico che si manifesta per la prima in una grande abilità in matematica e fisica, per la seconda in informatica e per la terza in ingegneria. Inizialmente, come tutte le donne di colore alla NASA, lavorano in un ufficio di calcolo dove svolgono il lavoro di vere e proprie calcolatrici umane, effettuando calcoli noiosi e ripetitivi per liberare tempo agli ingegneri e matematici veri e propri.

Katherine Johnson durante una riunione del gruppo di calcolo delle traiettorie alla NASA
Per le tre protagoniste una svolta improvvisa le fa conquistare un posto nei rispettivi campi di specializzazione. Questi incarichi, svolti non più all’ufficio di calcolo ma ai “piani superiori” dell’agenzia spaziale americana sono svolti sotto segregazioni razziali e umiliazioni di ogni tipo ancora fortemente presenti nella Virginia di quegli anni. L’inizio degli anni ’60 rappresenta un momento cruciale per entrambi i temi affrontati nel film. La corsa allo spazio fra Stati Uniti e Russia entra in questi anni nelle sue fasi principali. Gli USA subiscono la loro prima grande sconfitta scientifica quando Juri Gagarin diventa il primo uomo ad andare nello spazio, evento che sconvolge gli americani, sconvolgimento reso in modo non troppo credibile nel film.

Dorothy Vaughan insegna alle donne di colore della NASA come programmare un computer IBM
Dal punto di vista tecnico è apprezzabile e godibile la scelta di inserire filmati dell’epoca dei primi lanci spaziali. Questi filmati sono però affiancati da alcune parti in computer grafica che non sono realizzate benissimo.
L’unica interpretazione che mi ha veramente convinto è stata quella di Kevin Kostner nei panni di Al Harrison capo dell’ufficio di matematici in cui lavora anche Katherine Johnson. Se infatti la prestazione delle tre protagoniste è godibile seppur non indimenticabile è tremendamente deludente quella di Jim Parson nei panni del primo sottoposto di Harrison.
Un altro aspetto sempre molto difficile da rendere al meglio nei film che trattano argomenti scientifici è come presentare la parte tecnica risultando chiari e non noiosi al grande pubblico ma allo stesso tempo credibili ad un pubblico specializzato e rigorosi scientificamente. Il diritto di contare non riesce troppo bene in questo. Per chiunque sia del settore l’ascolto dei dialoghi fra i matematici della NASA risulta veramente poco credibile e alla fine del film l’impressione che rimane di Katherine Jackson (che è stata un’ottima fisica e astrofisica oltre che matematica) è che svolgesse solo semplici calcoli senza nessun supporto dagli altri ingegneri. Una semplificazione un po’ troppo grossolana.
In conclusione “Il diritto di contare” è un film che non mi ha convinto al 100%. Sicuramente l’essere un appassionato di tematiche spaziali ha reso il mio parere ben poco oggettivo. Rimane comunque un film godibile che nonostante qualche licenza poetica trova la sua vera forza nel trattare gli argomenti segregazionisti usando la NASA e la ricerca spaziale condotta da queste tre donne solo come ambientazione e pretesto. Il film, tratto da una storia vera, se non siete pignoli come me sicuramente lo troverete un’ottima opera, profonda e riflessiva con un’ottima ambientazione e una recitazione nella media.
A presto,
Stefano.