Metro 2035 di Dmitry Glukhovsky
La saga di Metro è stata una delle prime di tipo distopico ad avermi veramente entusiasmato, non lo nego. Quando lessi Metro 2033, mi ritrovai di fronte un libro veramente complesso, complice anche la giovane età a cui lo lessi, ma che faceva proprio della complessità, dell’articolazione delle ambientazioni e degli avvenimenti proprio il suo punto di forza. Partendo da questo presupposto rimasi veramente male nel leggere 2034, il secondo libro della saga. Come ho già detto nella sua recensione, questo testo mi ha veramente deluso. Con queste sensazioni ho quindi approciato l’ultimo libro del giovane scrittore russo: Metro 2035.
Speranza. Speranza era quella che avevo all’inizio della lettura. La speranza di immergermi nuovamente nella metro di Mosca del primo libro. La speranza di ritrovare gli intrighi, le fazioni, i personaggi di Metro 2033. Così è stato, o perlomeno così è stato per la gran parte del libro.
La speranza è anche la chiave centrale di questa nuova avventura di Artyom, l’eroe della Metro moscovita che nel primo libro salvò la città dalla minaccia dei Tetri. Ambientato quasi due anni dopo il primo finale, Artyom si ritrova a vivere una vita insoddisfacente, piena di rimorsi e di speranze, legate ai pochi segnali radio che pensa di aver ascoltato mesi prima. Un poco alla volta si è infatti convinto che l’umanità può ancora vivere in superficie e c’è chi lo sta già facendo. Partendo da questo pressuposto e dall’incontro di Artyom col vecchio Omero (co-protagonista di Metro 2034) parte l’avventura dei due alla ricerca di informazioni.
Su queste basi si snoda la vicenda che dal punto di vista della trama recupera quasi tutte le caratteristiche vincenti del primo libro. Sarà facile rimanere col fiato sospeso per decine di pagine seguendo gli avvenimenti, grazie al susseguirsi di colpi di scena, incalzanti e molto spesso inaspettati. A volte forse talmente inaspettati da essere un po’ assurdi, ma l’assurdità spesso fa bene in libri di fantascienza no? Alcune delle critiche maggiori che ho sentito muovere a questo libro riguardano la troppa politicità della trama. Sinceramente non sono troppo d’accordo. Anzi, a mio avviso queste osservazioni derivano più che altro dalla tendenza al politicizzare qualsiasi cosa. Certo le fazioni in lotta nella metro ci sono e sono rappresentate bene, ma c’erano anche in 2033 e rappresentano appieno il background culturale dell’autore russo.
Una delle cose che mi è mancata di più in questo seguito è invece l’aspetto fantascientico che lascia definitivamente il posto all’aspetto distopico. Forse non sarebbe poi un aspetto negativo, ma visto come questo era un carattere fondamentale dell’ambientazione costruita in 2033, se ne sente abbastanza la mancanza.
In conclusione
Metro 2035 a mio avviso conclude degnamente la saga di Dmitry Glukhovsky. Conclude perchè queste sembrano le intenzioni dell’autore, ma in realtà sono abbastanza sicuro ( o per lo meno ci spero) che qualcosa possa saltare fuori in futuro. Con quest’ultimo libro l’autore non riesce a superare se stesso con quanto fatto nel primo ma sicuramente ci fa un po’ dimenticare del decisamente mediocre Metro 2034. Artyom torna nella città sotteranea moscovita. Torna in una metro sempre più pericolosa ma decisamente meno terrificante.
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